Storie di Amore a Mezzanotte: Tra Ansia e Gioia

Venerdì sera. 

Mi sto annoiando e la stanchezza sembra appiccicata addosso come un vecchio maglione. Ho promesso ad Angela che sarei andata al bar di periferia per festeggiare il compleanno di una sua amica, anche se a dire il vero mi sono praticamente auto-invitata. Dopo aver sonnecchiato sul divano, mi alzo con un'energia ritrovata, o almeno la convinzione che sia il caso di uscire. Non posso restare sempre confinata tra le mura di casa, a evitare il mondo.

Così, mi faccio una doccia, mi vesto e, quasi senza pensarci, decido di truccarmi. Sono mesi che non lo faccio, ma stasera voglio sentirmi diversa, più luminosa, persino attraente. Nonostante i chili di troppo che rendono complicata la relazione con il mio corpo, ho bisogno di sentirmi bene. A mezzanotte, finalmente pronta, cerco tra la biancheria il profumo che si addice di più al mio stato d’animo: Fuc**ng Fabulous di Tom Ford. Un po' di fragranza sul collo e sono fuori.

Dopo trenta minuti passati a girare per l’isolato, perdendomi grazie alle imprecise indicazioni di Angela, trovo il bar. È un locale vecchio stile, che sembra uscito dagli anni '80, con interni in legno e un'atmosfera quasi familiare. Mi ricorda il bar del mio paese in Italia, con quel vago sentore di tabacco che sapeva di nonno. Tra la folla, riesco a farmi largo, saluto Angela e porgo gli auguri alla festeggiata. Guido è lì, è una vita che non lo vedo, e tutti sembrano notare il mio trucco, facendo complimenti che non sentivo da tempo. Mi riscopro quasi a mio agio.

Dopo pochi minuti, però, mi ritrovo con un bicchiere di tè freddo in una mano e un microfono nell'altra. Karaoke. Non proprio il mio tipo di serata, e l'entusiasmo degli altri mi stanca rapidamente. Riesco a liberarmi, mi siedo in disparte e tiro fuori il telefono. Grazie allo schermo privacy che ho messo quest’estate, posso scorrere il sito di incontri senza preoccuparmi troppo. Niente. Nessun nuovo like. La frustrazione si mescola all’ansia, e quasi senza pensarci metto un like a un ragazzo di nome Étienne. Non è esattamente il mio tipo, ma mio padre mi ha sempre detto: “Prima di giudicare gli altri, guardati allo specchio.” Così ho abbassato un po’ l’asticella delle aspettative, almeno per quanto riguarda l’aspetto fisico. Però su una cosa non transigo: l’igiene. La mia biografia sull'app non lascia dubbi: "Se non ti lavi i denti, non mettere like."

Faccio appena in tempo a sorseggiare l’ultimo goccio del mio tè che Étienne ricambia il like e mi scrive. Riguardo velocemente il suo profilo: 33 anni, del segno del leone, ama la natura, vuole fare un viaggio a New York, cerca una relazione seria e vive vicino casa mia.

Sono le una di notte.

Apro il messaggio: "Hey Gin!" Faccio una smorfia e rispondo: "Ciao Étienne, piacere, mi chiamo Ginevra." Ma guarda te, se uno che non conosco si permette già di accorciare il mio nome! Iniziamo a chattare, e scopro che anche lui è fuori a una serata.

La conversazione scorre leggera e frizzante, proprio come il tè che ho appena finito. C’è un’energia nuova nell’aria, qualcosa che mi scuote dalla noia. Mi dice che è in un bar con amici vicino al Moulin Rouge, praticamente a due passi dal mio appartamento. Un pensiero mi sfiora: "Peccato che sei a mezz'ora da casa tua." Lo scaccio via con una scrollata di testa. Ma che cosa stai pensando, Gin?! Non sei quel tipo di ragazza!

La chiacchierata continua, e dopo qualche battuta, Étienne mi lascia il suo numero e il contatto Instagram: "Qui non ricevo le notifiche, se vuoi scrivermi, ecco i miei contatti." Mi ritrovo a cercare il suo nickname su Instagram senza pensarci due volte. Non è da me dare il numero così in fretta a uno sconosciuto. E se fosse un pazzo psicopatico? Scorro i profili, ma trovo solo un uomo sui sessanta con un gatto – no, decisamente non è lui – e una coppia con due figli. Salvo il numero in rubrica come "Étienne H" (la H per il sito d’incontri, giusto per ricordarmi chi è).

Gli mando un messaggio su WhatsApp: "Eccomi qui." Scruto l'immagine del suo profilo e mi ripeto che non è esattamente il mio tipo. Sapevo già dal sito di incontri che è alto un metro e ottanta. Sempre dall'applicazione avevo avuto modo di sentire la sua voce: non proprio la più affascinante, di certo non da Luca Ward, per intenderci. La foto su WhatsApp mi conferma che porta occhiali tondi, un po' alla Harry Potter. Ha un naso delicato, ma con la punta piuttosto pronunciata. Le labbra sono sottili, ma l'arco di Cupido è ben definito. I capelli, neri e non troppo folti, resistono ancora.

Eppure, mentre risponde alle mie battute con una certa prontezza, sento un piccolo brivido di eccitazione. Dopo una ventina di minuti, mi dice che sta per andarsene; la sua serata è quasi finita. Io gli confesso che mi sto annoiando, ma non ho voglia di tornare a casa così presto dopo essermi fatta bella.

Appoggio il telefono e mi immergo in una conversazione con Angela e gli altri invitati. Poi, una notifica: Étienne. "Cosa proponi se non hai voglia di tornare a casa?"

Il mio stomaco si contrae per l'emozione e, senza pensarci, le dita digitano più veloci della ragione: "Hai voglia di prendere un cocktail?"

Sono le due di notte.

Sono fuori dal bar che mi ha indicato mezz’ora fa, in attesa. Ma che mi sta succedendo? Ho lasciato i miei amici con la scusa di un’emicrania, tranne Angela, a cui ho detto la verità: "Non giudicarmi, vado a incontrare un ragazzo conosciuto venti minuti fa." La sua risposta? "Divertiti anche per me."

Mi guardo intorno, cercando Étienne, e mentre l'ansia mi stringe il petto, le solite domande iniziano a tormentarmi: "E se non gli piaci?" "E se ti vede da lontano e scappa?" "E se, trovandoti paffutella e ripugnante, finge di essere stanco e se ne va?"

"Scusa il ritardo," dice all'improvviso una voce. "Ho dovuto accompagnare un amico a casa per non insospettirlo."

I pensieri evaporano come gocce d’acqua al sole mentre mi saluta con i due baci di rito. "Piacere, Étienne!" sfoggia un sorriso brillante di denti perfettamente curati e si guarda intorno.

"Il bar ha appena chiuso," dico, e lui mi osserva con uno sguardo sorpreso. "A meno che non vogliamo lavare piatti e bicchieri, ci conviene cercarne un altro." aggiungo.

Sorridendo, si tocca l’angolo della bocca con un dito. "Seguimi," dice, la voce frizzante. Inizia una maratona di dieci minuti: lui, gambe lunghe e passo veloce; io, un metro e cinquantanove, che ansimo nel tentativo di stargli dietro.

Entriamo in un bar che sta per chiudere. Étienne scambia qualche parola con il barista e poi mi fa cenno di sedermi al bancone. È riuscito a convincerlo a servirci un ultimo drink. Lui ordina un gin tonic, io una ginger beer.

La conversazione fluisce da un argomento all'altro con naturalezza. Parliamo delle nostre vite: lui è CMO, Chief Marketing Officer, mentre io mi occupo della qualità del servizio clienti di una grande azienda. "Sai quando chiami un servizio clienti e ti avvisano che la chiamata potrebbe essere registrata per motivi di qualità? Ecco, io sono la persona che ascolta quella chiamata." Lui sorride, divertito dalla particolarità del mio lavoro, e fa qualche battuta. Ogni volta che rido, accade qualcosa: la prima volta posa le dita sulla mia gamba, osservando la mia reazione; vedendo che non oppongo resistenza, la seconda volta posa l'intera mano e mi accarezza delicatamente al ritmo delle mie risate. La terza volta sono io a toccare il suo braccio, quasi per consolarlo quando mi racconta di essersi fatto male giocando a calcio e di non poter fare sport per un mese.

Il contatto è ormai evidente. Lui mi sfiora e io non mi tiro indietro; io ricambio il gesto. La situazione è chiara: gli piaccio, e lui piace a me. Un altro brivido percorre il mio corpo, questa volta sento l'eccitazione farsi più intensa e precisa, giù, in basso ventre. Scuoto la testa per scacciare il pensiero, finisco la mia ginger beer con un gesto deciso, posando il bicchiere sul bancone mentre il liquido leggermente piccante mi scivola giù per la gola. Lui segue il mio esempio, vuota il suo gin. Ci scambiamo uno sguardo intenso, finché il barista, maledizione, ci interrompe per farci pagare. Il bar sta chiudendo.

Qui a Parigi, la galanteria non è quella che ci si aspetterebbe in Italia. Uomini che chiedono di dividere il conto non sono rari, e la mia amica Vittoria si è persino ritrovata a un appuntamento con uno che, dopo aver bevuto due birre, le ha detto: "Ah, non ho il portafogli, me lo sono dimenticato. Puoi pagare tu?" Spero davvero che lui non sia come quel tipo che ha incontrato Vittoria. Non ho nulla in contrario a pagare la mia parte, viva le pari opportunità! Anche se, lo ammetto, la galanteria italiana a volte mi manca. Apro la borsa, in cerca del mio portafogli, ma lui mi ferma. "Il drink lo offro io. Sei venuta fin qui, il minimo che posso fare è offrirti questa ginger beer." Forse ho omesso un piccolo dettaglio: il bar che ha scelto si trova proprio dietro casa sua. Sorrido, mordendomi leggermente il labbro inferiore, e lo ringrazio. Ci alziamo, salutiamo il barista e ci avviamo verso l’uscita.

Sono le tre.

"Fammi fare un giro del tuo quartiere!" esclamo con dolcezza ma anche con un tocco di audacia. Il suo modo di sfiorarmi, il gesto di offrirmi da bere, tutto mi ha fatto acquistare fiducia. I chili in più che a volte mi pesano, in quel momento non li sento affatto. Mi sento leggera, come una piuma.

Accetta la sfida con un sorriso: "Andiamo, seguimi". E così mi ritrovo a fare un giro in un quartiere che, pur essendo affascinante, ha ben poco da offrire a quest'ora della sera. Siamo dietro nientemeno che gli Champs-Élysées, ma le strade sono quasi deserte, e lui scherza sull'atmosfera spenta del luogo. Attorno a noi, i bidoni della plastica sono già stati sistemati fuori dai guardiani dei grandi palazzi francesi in attesa della raccolta, che avverrà a breve.

Fosse stato il mio quartiere, ci sarebbe stato molto di più da fare: le strade sarebbero piene di vita, i bar aperti, e persino i sexy shop non mancherebbero. Ma perché stai pensando ai sexy shop, Gin?! Scuoto la testa per scacciare quel pensiero. Dopo una decina di minuti di passeggiata, durante la quale mi accorgo che le mie gambe sono la metà delle sue, gli dico: "Se non rallenti, rischio di perdermi per strada." Lui sorride, si scusa, ammettendo di camminare troppo in fretta.

All’improvviso si ferma, ci troviamo davanti a un parco chiuso. Attraverso le grate cerca di mostrarmi la bellezza di questo piccolo angolo verde nel cuore della città. Mi avvolge in un abbraccio, e io non mi tiro indietro, anzi. Le sue mani calde incorniciano il mio viso, appoggiato sul suo petto. Ci guardiamo intensamente, senza distogliere lo sguardo. Il tempo sembra fermarsi, i nostri respiri si placano, e in quel momento esistiamo solo noi due, nel cuore di Parigi, come all'inizio di una romantica commedia americana. Non faccio in tempo a finire di formulare il pensiero "Ma cosa sto facendo?" che le sue labbra incontrano le mie in un bacio, dolce e timido.

Mi afferra delicatamente la nuca e mi avvicina a sé, io seguo i suoi movimenti, appoggio la mano sul suo petto e schiudo le labbra per accogliere la sua lingua. I baci casti sono belli, ma quelli intrisi di desiderio sono tutta un’altra storia. Ci stacchiamo per un attimo e poi riprendiamo a baciarci. Arriccio un po' il naso, rendendomi conto che, come molti francesi che ho conosciuto, non è esattamente un maestro del bacio passionale. Non riesce a usare la lingua con la stessa intensità con cui si fa l'amore. La sua bocca rimane leggermente aperta, cerco di guidarlo con la mia lingua, ma è inutile, non c’è risposta.

Nonostante tutto, la sua gentilezza, l'offerta di quella maledetta ginger beer e il suo apparire come un ragazzo d'oro mi hanno colpita.

Prima di lasciarmi coinvolgere del tutto da quella serata, c'è ancora un ultimo test da superare.

Lo guardo e lo abbraccio di nuovo, questa volta avvicinando il viso e appoggiandolo tra la sua clavicola e il collo. Il maglione grigio che indossa accarezza la mia guancia mentre chiudo gli occhi e inspiro profondamente per sentire il suo profumo e la sua pelle. È perfetto: un aroma di spezie orientali e cedro, pulito e avvolgente. Senza volerlo, un leggero sorriso mi affiora sulle labbra. Come dico sempre a Vittoria, l'odore è tutto! Se non ti piace l'odore di una persona, non ci può essere niente. E da quando le ho fatto notare quanto l'odore conti, ben oltre il profumo che scegli di indossare, ha cominciato a sposare la mia teoria.

Dopo qualche istante inebriante, in cui colgo tutte le note olfattive della sua pelle, mi raddrizzo e lo guardo negli occhi. Con il pollice mi accarezza dolcemente la guancia e mi sussurra all'orecchio: "Vuoi salire a casa mia?". Mentre mi fa questa proposta, comincio a lottare internamente tra l'eccitazione che riemerge, le farfalle nello stomaco e il desiderio di resistere a quella tentazione. Ma all'improvviso, una ragazza in strada inizia a piangere, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Lo guardo incerta e cerco di attirare la sua attenzione verso di lei, il suo pianto disperato mi colpisce. "Sta piangendo," esclamo, indicando la ragazza in lontananza.

Lui prende la mia mano, intrecciando le dita alle mie, e io stringo la presa per non spezzare quel contatto. "Vuoi consolarla?" mi chiede con un tono a metà tra il giocoso e l'irritante. Perché scherza su di lei? Forse non gli importa davvero, ma quella risposta mi lascia un po' fredda. Avrei voluto davvero avvicinarmi alla ragazza e chiederle cosa le fosse successo, ma lui si insinua di nuovo nei miei pensieri, cingendomi la vita e sussurrandomi parole rassicuranti: "Vorrei portarti a casa, non mi sento a mio agio a baciarti in mezzo alla strada." Mi sembra dolce, e lui continua: "Prometto che non farò nulla che tu non voglia, possiamo anche solo parlare, mi è già successo." Una voce interiore mi mette in guardia, "Non fidarti."

Chiudo gli occhi per qualche secondo, poi li riapro, respirando profondamente. Lui interpreta il mio momento di esitazione e quel respiro come un segno di assenso. Senza perdere tempo, ancora stringendomi la mano, mi conduce lontano dalla ragazza sconsolata che continua a piangere, e in due minuti mi ritrovo dentro casa sua.